L’esempio del Marocco:
riflessioni/stimoli sugli scenari e le opportunità
che può offrire una proficua collaborazione
con i Paesi Arabi del Mediterraneo.
Introduzione
Discutendo di cooperazione con un Paese come il Marocco, si deve innanzitutto evitare di indurre chi ci legge a pensare a un gesto di carità e generosità nei confronti di un Paese povero, che esporta tanti immigrati in Italia e in Europa. Pertanto, si tenterà di riflettere sugli scenari e le opportunità che possono offrire una proficua collaborazione con questo Paese e, in genere, con i Paesi Arabi del Mediterraneo.
Teniamo presente che il Marocco è un Paese arabo e islamico e che nel bacino del Mediterraneo vi sono molti Paesi appartenenti alla stessa cultura e religione. Quindi, parlare del Marocco significa anche imparare a rapportarsi non solo con questi Paesi, ma anche con le comunità islamiche residenti in Europa.
Consideriamo ancora che gli arabi vivono da tempo una fase di aspirazione al cambiamento che non sappiamo ancora dove porterà. La cultura araba, infatti, anche se spesso è presentata come immobile, è invece alla ricerca di una “via” che le consenta di superare l’attuale situazione di difficoltà.
La civiltà araba è una civiltà fortemente insoddisfatta, che si sente umiliata e che vuole riscattarsi, ritornando a ricoprire, come lo ha ricoperto in passato, un ruolo di primaria importanza nel mondo; per raggiungere tuttavia questo obiettivo, deve prima di tutto instaurare una fruttuosa collaborazione tra gli stessi Paesi arabi, cosa non semplice, anche se, potenzialmente, le condizioni favorevoli per una “rinascita” – a partire dalle disponibilità finanziarie – ci sono quasi tutte.
La “rinascita” del mondo arabo potrebbe anche coniugarsi con una ritrovata cooperazione tra i Paesi islamici. Si parla, ad esempio, dei Paesi dell’Asia centrale, Paesi ricchi di risorse energetiche. Teniamo presente inoltre che in molti Paesi islamici vi è un clima di odio non solo verso l’Occidente, ma anche verso la Russia e che vi è diffidenza verso le economie emergenti. Tutto ciò potrebbe favorire questa collaborazione, in modo particolare se si dimostrerà vantaggiosa dal punto di vista economico.
Imparare a rapportarsi con il Marocco e, quindi, con i Paesi arabi, è importante anche perché l’Unione Europea ospita 25,8 milioni di immigrati islamici e se un loro reale inserimento fallirà e se nei Paesi islamici i sentimenti antioccidentali permarranno o cresceranno ancora, i problemi di convivenza civile aumenteranno.
In Europa, infine, vi sono Stati come l’Albania e la Bosnia che sono prevalentemente islamici e che, prima o poi, entreranno a far parte della UE. Se i Paesi confinanti con noi non avranno le forze per affrontare la globalizzazione, diventeranno un problema soprattutto per l’Italia.
Il Marocco e gli altri Paesi del Maghreb, allora, potrebbero essere per noi una porta di accesso a molti Paesi dell’Africa sub sahariana anche se l’Africa, continente ricchissimo di risorse, pur di-stando solo 140 chilometri dalla Sicilia, è un’area geografica verso cui l’Italia – a differenza di altri Paesi come Cina, India e Brasile – mostra poco interesse.
Potrebbe anche capitare che questi Paesi riescano a darsi un ruolo di primo piano nel mondo, mentre il nostro ruolo – basti pensare ad una grave crisi economica nel nostro Paese seguita da una secessione del nord Italia – venga ridimensionato.
Come abbiamo detto la civiltà araba non è immobile – lo ha dimostrato tante volte nel passato e continua a dimostrarlo ancora oggi – in tempi relativamente recenti, per esempio ha dato vita ad un nuovo soggetto, l’islam politico, e presenta l’-altra interessante novità che è data dalla crescita della finanza islamica. Questa non permette l’interesse, la speculazione e il gioco d’azzardo e ciò significa, per esempio, che il denaro non deve produrre altro denaro. L’investimento, dunque, deve essere indirizzato verso l’economia reale, deve essere anche etico, nel senso che deve procurare vantaggi anche alla società – anche se intesa, probabilmente, come comunità dei credenti – e non deve operare in settori come la pornografia, la prostituzione e i narcotici.
Una finanza rispettosa di questi principi dovrebbe, tuttavia, essere al riparo da crisi finanziarie – come quelle che stiamo vivendo in questi ultimi anni – e rappresenta anche un argine all’economia criminale, che è una minaccia ben più grave dell’islamismo radicale. Pertanto, riuscire a instaurare un rapporto di proficua collaborazione con questi Paesi è una questione vitale.
Purtroppo la cooperazione dell’UE con il Marocco e, in generale, con gli altri Paesi arabi del Bacino del Mediterraneo, è influenzata da molti fattori, ne evidenziamo alcuni: le continue crisi economico-finanziarie che condizionano la convivenza con le comunità arabe immigrate – e non solo con queste – nell’UE e tendono a ridurre l’ammontare delle risorse destinate alla cooperazione internazionale; i conflitti dell’Occidente in terre islamiche che, da un lato, rendono più difficoltoso il dialogo tra Occidente e mondo arabo e, dall’altro, spingono gli arabi a una maggiore coesione interna perché, a torto o a ragione, si sentono minacciati; la paura delle élite arabe al potere di perdere il controllo dei loro Paesi (paura probabilmente condivisa anche dall’UE); la questione palestinese; l’-islamismo radicale e violento; la desertificazione e la disponibilità di risorse idriche; la scarsa considerazione dell’UE, sempre più orientata verso Est, rispetto al Mediterraneo; il controllo dei flussi migratori; l’“islamofobia” dell’Occidente e la concorrenza che l’Europa subisce nell’area mediterranea da parte degli USA e delle potenze emergenti, prima di tutto la Cina.
Il Marocco
L’UE nella cooperazione con il Marocco ha avuto come obiettivo la promozione della governance democratica e dello sviluppo locale e ha pensato di raggiungerli promuovendo il decentramento amministrativo, ossia il trasferimento di poteri dallo Stato centrale alle comunità locali. In effetti, in Marocco, il potere è fortemente accentrato nell’élite al potere che ha – soprattutto sino ad un recente passato – ostacolato la formazione di un qualsiasi altro potere. Nel Paese inoltre vi è un clima di sfiducia verso il proprio sistema politico: i tassi di astensionismo sono molto elevati e i giovani, e non solo i giovani, ritengono di non avere interlocutori politici che li rappresentino adeguatamente. La conseguenza di tutto questo è un consenso crescente verso i movimenti islamici non solo perché percepiti come le uniche forze che chiedono un cambiamento, ma anche perché tradizionalmente molto attivi nell’ambito delle organizzazioni della società civile, anche se soprattutto con iniziative assistenzialistiche.
A spingere verso il decentramento, non è stata solamente l’UE, ma anche il FMI e, in effetti, diversi progressi si sono ottenuti riguardo la democrazia e il rispetto dei diritti umani, la questione da chiarire però è quanta parte di questi successi sia da attribuire a una spontanea politica statale e a quanto fatto dall’UE e da altre istituzioni internazionali, e quanto è invece da attribuire ad altro. Al di là di questo, quello che ci interessa più direttamente è che la cooperazione italiana e gli enti italiani dovrebbero valorizzare il lavoro fatto nel Paese e farlo divenire patrimonio di conoscenza di molti, pretendendo di più dal Governo marocchino e dai Governi degli altri Paesi arabi interessati alla cooperazione con l’UE.
È tuttavia importante tenere presente che gli interventi esteri non potranno fare molto se non saranno sostenuti da reali riforme interne, ma le riforme, in particolare quelle istituzionali, per poter produrre effetti positivi devono affrontare non poche difficoltà con le comunità locali, con la società civile e con la liberalizzazione economica e le privatizzazioni.
Rispetto alle comunità locali le riforme devono essere accettate dalle popolazioni. Le popolazioni devono avere la percezione che le riforme, in particolare quando vengono promosse dall’Occide-nte, siano state elaborate nel rispetto di un quadro di valori condiviso – spesso assai differente da quello/i occidentale/i – che deve fungere non solo da punto di riferimento, ma deve anche essere un utile strumento regolatore della vita della comunità. Se così non avviene l’unica cosa che si favorisce è l’instabilità.
Rispetto alla società civile, prima di tutto dobbiamo dire che per società civile si intende il settore associativo privato. Questo settore, tuttavia, in parte è significativa emanazione dei regimi politici che smantellano lo stato sociale – spesso su indicazione di enti finanziatori internazionali – e delegano al privato sociale locale – sostenuto soprattutto dalle ONG internazionali – importanti settori, sociali e non solo. Queste associazioni, tuttavia, sono favorite o tollerate dai Paesi arabi, semplicemente perché sono utili alla loro immagine – possono così dire di essere Paesi “democratici” – e perché consentono di ricevere finanziamenti internazionali.
Infine la liberalizzazione economica. Si è puntato su questa attraverso “aggiustamenti strutturali” favoriti dall’FMI e attraverso l’“area di libero scambio nel Mediterraneo” ad opera dell’UE.
Secondo le aspettative questo avrebbe dovuto fare emergere classi di imprenditori1 e professionisti che avrebbero dovuto chiedere una maggiore democratizzazione della vita politica. In Marocco, invece, è accaduto che l’élite al potere – insieme a qualche gruppo estero – si è organizzata e si è spartita la torta delle privatizzazioni. Ciò è accaduto anche perché il sistema bancario marocchino è in mano alla stessa élite che controlla il Paese. Il risultato di queste politiche è stato che sino ad un recente passato l’élite marocchina controllava il Paese prima di tutto attraverso lo Stato e grazie anche alle sue ricchezze fortemente cresciute con le privatizzazioni dei beni dello Stato, e ora non solo è ancora più potente, ma forse si sente anche libera dal dovere di assolvere ai pochi obblighi di solidarietà sociale ai quali era costretta fino a poco tempo fa.
La cooperazione con il Marocco, e soprattutto con gli altri Paesi arabi, allora, non è semplice. L’UE è ancora un soggetto multilaterale con non pochi contrasti al suo interno. Molti altri fattori sono di ostacolo al dialogo, sicuramente però, dopo tanti anni di cooperazione, ci si poteva attendere di più e non solo dall’UE.
Conclusioni
Se l’Europa e l’Italia desiderano instaurare una proficua collaborazione con i Paesi arabi, devono smetterla con la partecipazione a guerre in terre islamiche e con l’imporre a questi Paesi rimedi preconfezionati – come pretendere di imporre il concetto occidentale di democrazia o il neoliberismo – dovrebbero, invece, gestire in modo razionale l’immigrazione proveniente da questi Paesi e fare sì che gli immigrati arabi – e non solo arabi – possano accedere a politiche che favoriscano un loro reale inserimento sociale.
Tale condizione, per altro, è indispensabile non solo per garantire la pace sociale in Europa, ma anche per far divenire le comunità immigrate arabe fattore di cambiamento non traumatico – o meno traumatico rispetto ad un’ingerenza esterna – nei loro Paesi di provenienza. Si dovrebbe, inoltre, non solo conoscere la cultura, ma anche approfondire la conoscenza delle dinamiche di potere all’interno di ciascun Paese, andando a esaminare come è organizzato il potere; come si articola; quali sono i poteri forti; quali sono le dinamiche che mette in atto per proteggersi da minacce interne ed esterne e quali rapporti esistono con le opposizioni, con le classi emergenti e con le classi dominanti europee.
Se non si è in possesso di queste conoscenze, o se si trascurano questi aspetti, è molto improbabile ottenere risultati soddisfacenti. Occorre anche prendere atto che stante la situazione istituzionale in molti Paesi arabi, probabilmente si dovrebbero modificare le strategie di intervento per evitare lo spreco di risorse finanziarie. D’altra parte, perché, per riprendere come esempio il Marocco, i Paesi dovrebbero darsi un sistema economico neoliberista se questo sistema ha provocato immensi di-sastri in molte parti del mondo?
Nelle politiche di cooperazione, ad avere responsabilità non sono solo gli Stati, attori importanti sono anche le società civili. Bisogna, tuttavia, tenere conto del fatto che le organizzazioni della società civile favoriscono una vera politica di cooperazione solo se indipendenti dai poteri politici ed economici. Una delle funzioni principali della società civile è, infatti, vigilare su quanto fa lo Stato e i potentati economici, compito che evidentemente non può espletare se non è indipendente dai poteri politici ed economici che dovrebbe controllare.
Le società civili devono quindi essere indipendenti, conoscere molto bene i territori dei Paesi nei quali operano, ma dovrebbero anche cercare di comprendere se: gli obiettivi delle politiche di cooperazione sono quelli ufficiali o se, in realtà, sono altri; se gli obiettivi del beneficiario coincidono con quelli dell’ente finanziatore – UE, Italia… – e, se non coincidono, capire quali compromessi sono disposti ad accettare. Anche il loro compito non è semplice e per operare al meglio dovrebbero: “spogliarsi”, per quanto possibile, di ideologie e preconcetti – compresi quelli “positivi” – e ricavare deduzioni solo dai fatti; essere capaci, attraverso gli intellettuali, di elaborare analisi sui programmi di cooperazione, comprenderne i punti deboli e proporre soluzioni… ma, purtroppo, molti intellettuali hanno abdicato al loro ruolo più importante che è quello di raccontare la verità.
Alla fine dei conti: da tanti anni si parla di Mediterraneo, della posizione geografica strategica dell’Italia nel Mediterraneo, delle opere grandiose che potremmo realizzare, ma a parte qualche eccezione, non si è fatto nulla!
Conosciamo poco, odiamo molto!
Pochissimi conoscono quanto la cooperazione italiana all’estero ha operato, come ha operato e quali sono stati i risultati reali.
Al contrario, la crescente complessità del mondo richiede di conoscere problematiche, sfaccettature e punti di vista, è quindi urgente la necessità di un sapere non asettico e ancorato ai bisogni reali delle popolazioni; è necessario un apprendere attraverso la pratica e l’ascolto degli esperti, sì, ma anche dei sindacalisti, dei rappresentanti della società civile, degli intellettuali non organici ad alcuna struttura, dei semplici lavoratori, dei di-soccupati…
E ancora non basta!
Se non si promuove una reale coscienza civica nella popolazione e la nascita di una sana classe dirigente disponibile ad assumersi responsabilità, ancora una volta non si farà altro che semplicemente sprecare risorse.
Un’ultima osservazione sul fenomeno immigrazione, che viene proposto come decisivo per le sorti del nostro Paese. A mio avviso, se non saranno messe in atto strategie serie nel Mediterraneo e in Africa, il fenomeno migratorio non potrà essere gestito né con politiche di chiusura delle frontiere e dei porti, né con politiche di accoglienza. Il solo Egitto, che sembra essere sull’orlo del collasso, ha più di 100 milioni di abitanti. Sull’orlo del collasso sembra siano anche l’Algeria, la Tunisia, il Libano e forse anche il Marocco. Per non parlare della Libia e della Siria. Il dibattito sul fenomeno evita accuratamente di affrontare la vera posta in gioco.
Note dell’autore
I testi di riferimento utilizzati per elaborare questa relazione sono quelli indicati nella bibliografia, in particolare:
F. BICCHI, L. GUAZZONE, D. PIOPPI: La questione della democrazia nel mondo arabo – Stati, società e conflitti, Polimetrica s.a.s., Monza (MI) 2004.
La relazione è anche frutto di esperienze, ricerche e lettura dei numeri degli ultimi due anni della rivista marocchina: Tel Quel: le Maroc tel qu’il est.
Bibliografia
A. STOCCHIERO: Mare nostrum – Cooperazione e nuove politiche dell’Unione Europea nel Mediterraneo, Carocci Editore, Roma 2009.
P. KHANNA: I tre imperi – Nuovi equilibri globali nel XXI secolo, Fazi Editore, Roma 2009.
F. BICCHI, L. GUAZZONE, D. PIOPPI: La questione della democrazia nel mondo arabo. Stati, società e conflitti, Editore Polimetrica s.a.s., Monza (MI) 2004.
Giuseppe Spedicato